Una notte di metà Dicembre, il periodo più buio dell’anno, ho alzato gli occhi al cielo, le narici hanno respirato il gelo della notte e ho visto una stella cadente. Ho pensato, nel segreto del mio cuore, che saresti arrivato tu.

Così è stato, mia piccola stella cadente, neanche il tempo di desiderarti e tu già crescevi nelle profondità del mio grembo. Ho immaginato che nelle pareti della caverna uterina tua sorella ti avesse lasciato scritto un messaggio tanto era forte il vostro legame… lei da fuori, così piccola, che metteva peluche sopra la mia pancia per te.

L’energia che sentivo era completamente diversa e quando all’eco ho visto che eri un maschietto ho provato un brivido. La nostra famiglia ha una storia di tanti bambini che hanno abbandonato il ventre materno anzitempo.

Tremo. Arriva il primo sangue, varie diagnosi che spesso si concludono con “incompatibile con la vita”. Ci ricoverano e mi dicono di prepararmi al peggio. Ma giorno dopo giorno tu crescevi, insieme stavamo accanto alle altre madri, abbiamo persino assistito ad un parto e accompagnato un altra mamma al saluto della sua bimba nella buia cappella dell’ospedale. Insomma, io e te abbiamo fatto squadra e io ho cominciato a crederci. Non trovavo un nome per te. Ti ho chiamato Bimbimbo fino al giorno in cui ho detto a tuo padre, molto seriamente, che era ora di trovarti un nome perché tu volevi vivere.

Poi, nella solitudine della nostra stanza di ospedale, ti ho chiesto di decidere. eravamo ricoverati da più di un mese, ero stanca, Frida mi mancava terribilmente e aveva bisogno della sua mamma , tuo padre aveva bisogno di speranza. Ti ho detto che ti avrei amato a tal punto da accettare qualsiasi tua decisione. In fin dei conti si trattava della tua vita. Era una tua scelta se volevi unirti a noi o tornare ad essere il bambino del cielo. Ma dovevi dirmelo forte e chiaro e piuttosto in fretta. Sentivo che quel tempo così denso, accanto alle altre donne, seppur importante, si stava concludendo.

Prima di addormentarmi la mia cara amica Simona, da chissà quale mondo, ci invia Reiki e mi arriva tutta la dolcezza del suo cuore, sento una dolce musica simil celtica e mi addormento nella fiducia più totale.

Quella notte sei venuto nei miei sogni. Ho sognato che nascevi già grande, potevi parlare, mi guardavi e con una voce profonda mi dicevi: “ciao, sono Paride”

Mi sono svegliata con il sole mentre le mie labbra pronunciavano il tuo nome. Paride? Ma dai! Che cazzo di nome è? Ma poi biondo con gli occhi azzurri? Ero un pò spiazzata, lo ammetto. Ma il mio smarrimento non è durato tanto…quando tuo padre è arrivato e mi ha chiesto: “come sta Paride? Sai, stanotte l’ho sognato!” non ho avuto più nessun dubbio.

I medici invece di dubbi ne avevano eccome, in più di un mese che ero lì la situazione non era migliorata neanche un pò. Ma io ormai sapevo che tu volevi nascere e ho firmato per uscire.

Ho continuato ad avere dolori e perdite di sangue fino alla tua nascita ma non ho mai più dubitato. Sei nato in un pomeriggio di metà Settembre pieno di luce. Ricordo che alle prime contrazioni ho sperato che il travaglio non fosse breve, volevo avere il tempo di entrarci, di cavalcare le onde una ad una, scendendo sempre più in profondità. Con le prime contrazioni facevo scivolare il piede nel pavimento di legno, percepivo il calore , il suo essere liscio ma pieno di nervature..poi l’ho osservato e c’ho visto un’orsa. Mi sono lasciata guidare da lei.

Nel frattempo attorno alla piscina che Babbo e Frida avevano preparato per noi in sala, si cominciava a stringere un cerchio di donne che, da ogni parte , a loro modo, ci sono state accanto, cantando, pregando, danzando, alcune hanno persino avuto visioni di spade. Frida nell’acqua con noi mi massaggiava la schiena, scherzava e giocava con l’acqua, attendeva.

Tu avevi una gran forza, tumultuosa, ho faticato a sostenerla. Non eri più il bambino del sogno, l’anima tra le stelle,  hai  assunto  forma e ti sei manifestato spingendo come un guerriero. Tu sei il mio eroe guerriero, hai spezzato la maledizione di tutti quei bimbi che hanno avuto passaggio così veloce su questa Terra.

Ti ho chiamato a gran voce, ti ho chiesto aiuto e tu finalmente sei sgusciato fuori, tuffandoti nelle acque dolci della nostra piscina colorata, un raggio di sole ha trovato posto per entrare ed illuminare la tua testolina bionda.

Dopo un tempo che non so quantificare Frida mi chiede cos’è quella cosa attaccata al tuo ombelico . Le avevo mostrato molte immagini per prepararla al tuo arrivo in casa, quindi le dico : ” ti ricordi che ti avevo parlato della sorella placenta?” . Con tutta la serietà di cui è capace dice:” si ok, ora togliamola che la sorella sono io”.

Voi due vi siete riconosciuti subito. Frida ha tagliato il cordone assieme a tuo padre, poi ti ha preso in braccio e ti ha dato il soprannome con il quale ancora ti chiamiamo tutti. Ma nessuno credo lo abbia mai pronunciato con tale dolcezza come lei… “Borgiotto mio…”

La mamma