Elena è arrivata con estrema determinazione nella mia vita, per tutta la gravidanza mi ha sempre trasmesso il pensiero che avrebbe deciso lei come e quando arrivare, e che io dovevo solo seguire la corrente. Per accordarmi con la sua volontà, decido che questa volta avrei fatto in modo che tutto andasse come volevamo, senza dipendere da altri. Ci attrezziamo per un parto in casa e anche per un parto in giardino. É luglio. Nella campagna romana, un caldo assurdo. E ho già una bimba di quasi tre anni. Per stare tranquilli prepariamo una soluzione per ogni evenienza. Ostetriche reperibili, doula in prima e doula in seconda se la prima non riuscisse a raggiungermi visto che è reperibile anche per un altro parto, camera in casa qualora partorissi di giorno, perché di giorno dentro è più fresco, tenda in giardino per il parto di notte, che di notte è più fresco fuori. E per la mia prima bimba, se è un parto di giorno infrasettimanale, no problem, c’è la scuola, se è di weekend mamma della sua amichetta del cuore allertata per portarla a fare scorribande in allegria tra amiche e se è di notte, arriverà mia madre o salirà la vicina di casa per stare con lei.

Erano giorni che avevo contrazioni preparatorie a non finire. Ero a tre cm di dilatazione passiva, ma nessun travaglio. Avevo caldo, ero enorme, non ne potevo più. Mi sfiancava la sensazione che ecco questo è il momento buono, e poi invece no. A un certo punto chiamo pure l’ostetrica perché ho contrazioni ogni 3-5 minuti, ma non mi sembrano abbastanza forti. E infatti si fermano. Niente, tutto fermo. Elena faceva proprio di testa sua. Così decido di seguire il consiglio dell’ostetrica. Non fare niente. Riposati. Dormi. La sera alle 21:30 misi Rachele a dormire e alle 11:40 mi svegliai all’improvviso con le contrazioni nel pieno della loro forza. Ogni due minuti. E se fosse un altro falso allarme? Avviso mio marito e mi metto un momento un po’ sul divano a monitorare le contrazioni. Cerco di capirle. E inizio a chiedermi chi avvisare prima se l’ostetrica o la doula. E se è un buon momento per avvisare mia madre per mettersi in auto e raggiungermi, considerato che doveva farsi 400 km.

In quel momento si rompe il sacco amniotico con un sonoro splash sul divano. Ok non ci sono più dubbi.

Chiamo la doula, poi l’ostetrica e subito dopo mia madre. Sveglio mio marito e gli dico che deve svegliare la vicina per farla salire per stare con Rachele. Poi deve raggiungermi. Io intanto scendo in giardino che le contrazioni sono più veloci di me.

Entro nella vasca che era già gonfia nella tenda da campeggio, ma che era ancora vuota. Mentre si riempiva di acqua calda io stavo lì e cavalcavo le nostre onde. Onde modello tsunami, con pause brevissime tra una e l’altra. Mio marito si dà da fare per far sì che tutto sia confortevole. Ma io non voglio vedere nessuno muoversi attorno a me. Arriva la doula. Che si accovaccia fuori dalla vasca di fronte a me che sto in ginocchio. Afferro le sue braccia forti e non le mollo più, fino alla fine. Intimo a mio marito di entrare nella vasca e gli chiedo di massaggiarmi con forza, molta forza i lombari sulla contrazione. Questo mi fa del bene. Anche quando nelle pause mi versa l’acqua calda sula schiena è piacevole. Arriva l’ostetrica. Le permetto di prendere una volta il battito di Elena. Dopo di che impedisco ogni altra forma di contatto a parte le braccia della donna-quercia di fronte a me, e il massaggio delle mani calde del mio compagno sul mio bacino. Sento che il dolore è forte, ma che il travaglio è velocissimo. Sento la testa di Elena quasi affacciata fuori dal mio corpo, per poi risalire, due o tre volte. Vivo in contemporanea lo sconforto per questo dolore così grande e l’estasi per il riconoscere che siamo quasi alla fine della nostra traversata e che ci sarebbe voluto ancora pochissimo tempo prima di poter abbracciare la mia bambina. Infatti la spinta successiva è quella che permette alla sua testolina tonda di affacciarsi nella vasca. Due spinte dopo anche il resto del suo morbido corpicino è fuori. Uscendo dall’acqua tiepida strilla. Caparbia come sempre. E si attacca al mio seno con forza e determinazione, come se lo avesse sempre fatto. La sua competenza continua a sbalordirmi, ancora oggi. Ho sempre pensato che sua sorella Rachele le avesse lasciato nell’utero delle note, degli appunti, su come funziona il modo qua fuori.

Quando ho partorito la placenta, l’abbiamo messa sotto sale e adornata con fiori e piante aromatiche. C’era l’intenzione di fare un Lotus, ma la sorella Rachele viveva con disagio il contatto con quel cordone gommoso che diveniva sempre più strano man mano che il tempo passava. E siccome ci tenevamo che si stabilisse al più presto un forte legame anche tra le due sorelle, abbiamo chiesto il permesso a Elena di separarla dalla sua placenta, grazie alla quale abbiamo preparato alcuni rimedi curativi che utilizziamo tuttora. Per elena è stato piantato un albicocco, sotto al quale la placenta riposa.

Alla fine ovviamente, aveva proprio ragione Elena, lasciando a lei il comando, tutto è stato veloce, intenso, a tratti pure divertente, e io mi sono potuta permettere di lasciarmi andare e dire e fare tutto quello che mi passava per la testa, vivendo appieno ogni emozione.